

È noto ormai: l’Italia non è un Paese per giovani. È costantemente alle prese con una popolazione sulla strada dell’ invecchiamento e si classifica come il terzo peggior Paese in Europa per disoccupazione giovanile. Per combattere proprio quest’ultima si potrebbe essere portati a pensare che, mandando prima i lavoratori in pensione, si possano creare maggiori opportunità lavorative e nuovi posti sul mercato del lavoro per i giovani entranti. Ma esiste davvero questo legame tra età pensionabile aumento dell’occupazione giovanile.
Nel 2018 il governo Lega-5 Stelle ha proposto il superamento della Riforma Fornero con la cosiddetta “Quota 100”. La proposta consisteva nel permettere l’uscita dal mercato del lavoro quando la somma dell’età anagrafica del lavoratore e degli anni di contribuzione è almeno pari a cento.
Già al tempo molti si mostrarono scettici nei confronti di questa proposta, ma ultimamente un report di Bankitalia ha definitivamente smentito l’efficacia di tale scelta. Mandare in pensione in anticipo non implica direttamente la creazione di nuovi posti di lavoro, anzi sembra quasi che abbia un effetto contrario. Bankitalia sostiene, infatti, che l’innalzamento dei requisiti di accesso alla pensione, in seguito alla riforma Fornero, sia stato un intervento necessario al fine di sostenere l’offerta di lavoro e difendere la sostenibilità del sistema. All’interno delle aziende, infatti, i lavoratori giovani e anziani non sono sostituibili ma al contrario, complementari e dunque tale caratteristica costituirebbe un valore aggiunto per il datore di lavoro.
Una proposta alternativa: la staffetta generazionale
Potrebbe, però, in realtà sussistere anche una correlazione positiva fra il numero dei lavoratori mandati in pensione e nuovi posti di lavoro per i giovani entranti. Nel 2013, l’allora ministro col governo Letta, Giovannini, studiava il meccanismo della “staffetta generazionale” per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani inoccupati. Il mercato del lavoro avrebbe bisogno di personale giovane, efficiente e qualificato, ma miglioramenti dell’offerta di lavoro per i giovani sarebbero ottenibili anche attraverso incentivi fiscali e sburocratizzazione delle assunzioni. Per favorire questo ricambio generazionale si chiedeva, dunque, ai lavoratori in età avanzata di fare un passo indietro e andare in pensione, rinunciando ad una parte della propria retribuzione. In compenso, però, si avrebbe avuto un nuovo posto di lavoro e si sarebbero create nuove opportunità per i più giovani. Un piccolo sacrificio, questo, che andrebbe ancora di più a classificare l’attuale sistema pensionistico di tipo contributivo come un vero e proprio “patto fra generazioni”, fatto sulla base di difficili compromessi e ingenti sacrifici da entrambe le parti.
Il pensionamento anticipato è stata una proposta frequentemente promossa per mantenere la disoccupazione bassa negli anni clou del boom economico e dell’industrializzazione del secolo scorso. Questo tipo di policy è tornato alla ribalta negli ultimi anni.
Secondo uno studio, le “Activation policies”, finalizzate a spronare i disoccupati a cercare lavoro, sono in verità le uniche realmente efficaci. Negli scorsi anni sono state implementate per rendere i giovani sempre più indipendenti dai sussidi statali e possono aumentare la possibilità di ottenere un’occupazione remunerativa. Il vero obiettivo, inoltre, dei sistemi previdenziali dovrebbe essere quello di garantire che i giovani restino nella forza lavoro.
Dal momento che non si può osservare una correlazione definitiva in grado di spiegare la relazione che lega il numero di pensionati e la possibilità di nuovi posti di lavoro per i giovani, bisogna puntare proprio sull’integrazione dei nuovi entranti nel sistema e facilitare il passaggio dall’istruzione al mercato del lavoro, consentendo anche l’ottenimento di contratti stabili e di un compenso adeguato.
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ilsole24ore.com – per leggere l’articolo originale clicca qui