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La prima fotografia sul 2020 arriva da Veneto Lavoro: il lockdown ha messo in ginocchio i contratti temporanei (stagionali) e la ricerca di un impiego. L’occupazione stabile ha resistito per le misure varate dal governo, cig covid e blocco dei licenziamenti.

La prima fotografia sul 2020 del mercato del lavoro arriva da un interessante analisi di Veneto Lavoro relativa alla regione Veneto; una sorta di “dato anticipatore” di quello che a febbraio renderà noto l’Istat, su tutta Italia. Ebbene, in Veneto, lo scorso anno l’emergenza sanitaria ha comportato una riduzione del saldo occupazionale pari a -11.400 posizioni di lavoro dipendente, a fronte di un 2019 che si era chiuso con un risultato positivo di +26.500 posizioni lavorative. Dal confronto tra le due annualità, quindi, si evince l’impatto della pandemia sul mercato del lavoro regionale: tra mancate assunzioni e rapporti di lavoro cessati mancano all’appello circa 38mila posti di lavoro.

In affanno donne e giovani
Il calo dell’ultimo anno è dovuto prevalentemente al crollo delle assunzioni, che sono passate dalle quasi 600mila del 2019 a circa 453mila nel 2020 (-24%), toccando nella fase più acuta della crisi -47% rispetto all’anno precedente. La forbice si è ristretta nel corso dell’estate fino a -8%, per poi tornare ad allargarsi gradualmente nei mesi di ottobre (-12%), novembre (-22%) e dicembre (-32%). Le categorie più penalizzate risultano essere le donne, con un calo delle assunzioni del 27%, e i giovani (-28%).Il bilancio occupazionale poteva essere peggiore, ma le misure adottate a livello governativo, prime fra tutte l’estensione della cig in deroga a gran parte della platea di lavoratori dipendenti e il blocco dei licenziamenti, se da un lato rendono ancora incerta l’esatta determinazione degli effetti della crisi sull’occupazione, dall’altro hanno contribuito a contenere il numero delle cessazioni, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione stabile.

Il crollo dell’occupazione temporanea
L’altro dato interessante è che gran parte degli effetti del lockdown si sono scaricati sull’occupazione temporanea, soprattutto quella di carattere stagionale, e si può stimare che nei primi undici mesi dell’anno le giornate lavorate con contratti a termine siano state 12 milioni in meno rispetto al 2019 (-20%), passando da un totale di 64 milioni a 52 milioni.Il settore più colpito dalla crisi è il turismo, che ha perso 14.800 posti di lavoro e subito un calo delle assunzioni del 45%, come negative sono anche altre attività dei servizi: commercio al dettaglio (-1.350), trasporti (-500), attività finanziarie (-400), editoria e cultura (-250). Nel manifatturiero a soffrire maggiormente sono i comparti del Made in Italy, in particolare l’occhialeria e il sistema moda, che hanno visto ridursi le assunzioni rispettivamente del 62% e di oltre il 30%. In controtendenza l’edilizia che, spinta anche dal superbonus e dalle altre agevolazioni messe in campo per il rilancio del settore, chiude con un bilancio positivo analogo a quello del 2019 (+3.100 posizioni lavorative).

In calo la disoccupazione (ma non è un buon segnale)
Il terzo aspetto da evidenziare è il calo della disoccupazione, che tuttavia non è un segnale incoraggiante, visto il contestuale crollo delle assunzioni. Chiusura dei centri per l’impiego e scoraggiamento hanno spinto molti disoccupati a rinunciare a cercare un lavoro a causa delle difficoltà del momento. Il flusso delle dichiarazioni di disponibilità (Did) presentate nel corso del 2020 è diminuito del 17%, passando dalle quasi 142mila Did del 2019 alle circa 118mila di quest’anno.Gli ingressi in disoccupazione riguardano prevalentemente lavoratori che avevano un contratto a tempo determinato, che rappresentano il 47,5% del totale. In calo anche i licenziamenti: -4,5% per quelli disciplinari e -45% nel caso dei licenziamenti economici individuali e collettivi (anche per via del blocco generalizzato in vigore dal 17 marzo 2020).

 

Fonte
ilsole24ore.com – per leggere il testo completo clicca qui.